DESCRIZIONE DELL’OPERA:
Le lacrime su scaglie di legno sono per ricordare il dolore provocato dalle spine sul volto del Figlio.
Con sguardo fermo, solenne, capace di contenere un dolore umanamente incontenibile l’Addolorata dell’Artista siciliana Claudia Clemente guarda oltre il transitorio e assolve al proprio ruolo sacro di Madre dell’intera umanità. Ha occhi cerulei, un incarnato reso con la grazia e la delicatezza di tanta pittura rinascimentale ma veste il colore del lutto e celebra il dolore inconsolabile di chi ha perduto il proprio bene più prezioso. Claudia Clemente, fine ritrattista e pittrice dalla pennellata felice, affonda la propria ricerca nelle tracce iconografiche e antropologiche della propria terra, una Sicilia di santuari e processioni, di culti devozionali e di rapporti diretti tra il fedele, che chiama accorato e il santo protettore, che concede la propria grazia in dono. Tra le opere dell’Artista una serie di Donne guerriere ne hanno punteggiato la ricerca: è l’evidenza di una personale voglia di riscatto, un bilanciamento fra la resiliente fragilità femminile e una struttura sociale che resta invece, imperniata, sulla prevalenza dell’uomo.Ci sono quindi due piani che corrono paralleli e ripercorrono lo stesso schema che, dal medioevo a oggi, ha esaltato il culto mariano. Da un lato la tradizione, ben oltre la parola degli Evangelisti, che ha approfondito e raffigurato la vicinanza tra i momenti della Passione e lo strazio della Madre, fisicamente ai piedi della croce. Dall’altro il momento profondamente umano, che avvicina il fedele alla propria salvezza senza dover discettare troppo di teologia. Diversi elementi provengono direttamente dalla tradizione, ma sono ri-assemblati in una nuova figurazione: il cartiglio della Vergine, parte centrale di una corona che esalta la funzione salvifica e ausiliatrice della Vergine. La campitura azzurra che ne ricorda sia il manto tradizionale ma anche la libertà di un cielo senza nubi. L’abito di velluto nero a ricami d’oro è un richiamo evidente alla vestizione di tante statue mariane portate a spalla in processione, sulle così dette vare, le pesanti macchine di legno che i penitenti sollevano con grande sforzo per la gloria e l’espiazione. Vi è tanta Spagna in quelle lagrime trasparenti che scivolano come rugiada su di un volto al medesimo tempo tragico e rifiorito. Il pianto, infatti, è tipico della pittura di molte Virgen de los Dolores e la penisola iberica è stata la culla storica per l’espansione mondiale di questa devozione. Anche se le origini si perdono nel medioevo toscano con la fondazione dei Serviti, Ordo Servorum Beatae Virginis Mariae, sarà poi la corona spagnola ad estenderne il culto in tutti i propri domini d’Europa e oltre oceano. La Sicilia, che per secoli si è abbeverata alla cultura madrilena attraverso il governo dei Vicerè, ha cristallizzato il culto nelle sue forme barocche, spettacolari per teatralità e coinvolgimento emotivo. Claudia Clemente rinsangua, a propria volta, l’immagine del culto che tante confraternite continuano ad alimentare ma ha la capacità di portarla nel vibrante dibattito del linguaggio contemporaneo. Già dal titolo, opulento e greve: “Acrilico e lacrime su scaglie di legno a ricordare il dolore delle spine sul viso del Figlio” il legame con la tradizione è chiaro. La materia, però, è un continuo scomporsi fra echi del passato e drammatiche modernità. Il velluto e i pizzi si mutano in una parvenza di corazza, di scudo raffinato che isola la purezza e la difende da un mondo di falsi valori, le maniere si rimescolano per costruire un’immagine da fine dei tempi, dove tutto torna presente con le proprie e le ferite sempre aperte e le colpe da giudicare. Il volto della Madonna non indulge nel dolore, ha trasceso il dramma, svela con uno sguardo e il suo è un giudizio non dottrinario bensì morale. In lei ogni coscienza esplode, torna nel fedele la fragilità del bambino che riconosce la propria marachella per cercare un abbraccio protettivo e misericordioso. Quel che era pittura su tavola, col legno preparato di gesso e colla di coniglio, diventa OSB Oriented strand board (Pannello di scaglie orientate) in cui lacerti d’albero narrano la tragedia dell’ecosistema sconvolto e dei fitti boschi sventrati. L’opera di Claudia Clemente è dolce nel tratto e dura nel carattere, una Madre che ci chiede rispetto per il Sacrificio del Figlio e non uno sguardo intimamente falso, ipocrita e superficiale. (Massimiliano Reggiani)
PROFILO:
Claudia Clemente nasce e vive a Bagheria, figlia d’arte del noto scultore siciliano: Gaetano Clemente. La tradizione dei colori siciliani nel tempo divengono uno dei tanti principi ispiratori che oggi ritroviamo nelle sue iconografie di maggior dimensioni. La sicilianità è uno degli elementi chiave della sua attività come costumista, scenografa e grafica. Tutti questi elementi li ritroviamo nei suoi personaggi dove ogni decorativismo che avvolge la figura rivisita stili che vanno dal periodo ellenistico, medievale a quello rinascimentale e barocco sino al Liberty siciliano, accompagnandoci con immagini ricche di volute, di fiori, sino a divenire tessuto vero e proprio come se l’opera fosse un arazzo ricamato. Un eclettismo dal sapore “Fantasy” che presuppone in ogni opera una storia o una leggenda. Claudia Clemente non si sofferma su di un’unica tecnica, ma sperimenta la pittura su vetro, carta, tela, legno utilizzando l’olio, l’acrilico e l’acquarello. Un’alchemica di forza e poiesis estetica che oggi la rendono felice interprete anche di “murales” sia a Palermo che in tutta la Sicilia.
(Francesca Mezzatesta)